Una donna, disperata, si dà fuoco e la maggior parte delle persone presenti al fatto, invece che cercare di aiutarla in qualche modo, ha pensato bene di filmare il tutto con il cellulare. Questa la denuncia fatta da un soccorritore al sindaco di Crema, Stefania Bonaldi. È lo stesso sindaco a riportare l’accaduto sulla sua pagina Facebook, commentandolo: «Comprendo che non tutti possano avere il sangue freddo e la prontezza per intervenire quando una persona si dà fuoco. Si può rimanere gelati dallo shock di quanto sta accadendo, anche coi 40 gradi di oggi. Ma se gli spettatori di questa tragedia hanno avuto la freddezza di prendere il telefonino ed immortalare la scena, anziché correre in aiuto o chiamare i soccorsi, allora dobbiamo farci delle domande. Serie e molto, molto urgenti. Cosa siamo diventati? E se quella donna fosse stata nostra figlia, sorella, moglie, madre? Cosa può renderci così insensibili e distaccati verso la sofferenza degli altri? Perché questa indifferenza? Un abbraccio a questo “buon samaritano”, che passava per caso e si è fermato a prestare aiuto, anche se evidentemente non è bastato, ed un pensiero pieno di dolore per questa donna. Non è un buon giorno, oggi, Crema» (1 agosto 2020 - https://it-it.facebook.com/bonaldistefania/).
Il riferimento al “buon samaritano” è senz’altro appropriato, sia per il gesto di colui che, visto ciò che stava accadendo, ha bloccato la macchina, è sceso di corsa e ha provato a spegnere il fuoco con la prima cosa che si è trovato in mano, sia per l’indifferenza o la paura degli altri. La vera differenza tra il racconto biblico (Luca 10:28-37) e questo fatto è che, mentre i due religiosi della parabola, appena visto il malcapitato ferito, si sono rapidamente allontanati senza prestargli soccorso, qui le persone sono rimaste lì. Abbastanza vicine da filmare o fotografare il tutto, ma senza fare nulla per aiutare.
Ma veramente siamo diventati così o lo siamo sempre stati? L’uomo è diventato oggi quello che invece non era mai stato prima? Da sempre, per natura, l’uomo purtroppo assomiglia di più a coloro che sono indifferenti, che hanno paura, che scappano davanti al bisogno altrui. Oggi, semmai la cosa viene amplificata da questo morboso desiderio di immortalare anche le scene più cruente, per poi diffonderle e, magari, guadagnarci (qualche like in più o vendendole a un giornale). Sinceramente non sappiamo se il sacerdote e il levita della parabola, avendo i mezzi di oggi, avrebbero anch’essi fotografato o filmato l’uomo rapinato e picchiato che hanno trovato sul loro cammino... Quello che sappiamo è che l’insegnamento di Gesù che ricaviamo da quell’episodio è ancora di assoluta attualità.
Gesù usa questo esempio per rispondere a una domanda fatta da un maestro della legge ebraica, quindi da un uomo che, dall’alto della sua conoscenza e appartenenza, vuole mettere alla prova Gesù e gli chiede cosa deve fare per ereditare la vita eterna (v. 25). Non è una domanda sincera, ma fatta per cercare di mettere in difficoltà Gesù. Gesù lo porta alla Scrittura a quello che lui deve conoscere (v. 26). L’uomo, giustamente risponde: «Ama il Signore Dio tuo con tutto il tuo cuore, con tutta l’anima tua, con tutta la forza tua, con tutta la mente tua, e il tuo prossimo come te stesso». (v. 27). Gesù approva la sua risposta invitandolo a fare la stessa cosa se voleva vivere (v. 28). E qui nasce il problema. Un conto è sapere le cose, rispondere correttamente, un conto è viverle. Allora il ‘dottore’ si mette sulle difensive e replica a Gesù: Ma egli, volendo giustificarsi, disse a Gesù: «E chi è il mio prossimo?» (v. 29).
È a questo punto che Gesù gli racconta la parabola conosciuta come “il buon Samaritano”, per rispondere anche alla domanda «E chi è il mio prossimo?». Alla fine del racconto, volutamente con protagonisti ben precisi (due religiosi indifferenti e un samaritano - e in quanto tale odiato dagli ebrei, perché popolo non ‘puro’ e dalla religiosità non ortodossa – che invece è il personaggio positivo del racconto), Gesù fa una domanda che sembra ribaltare il suo e il nostro modo di percepire il concetto di ‘prossimo’: Quale di questi tre ti pare essere stato il prossimo di colui che s’imbatté nei ladroni? (v. 36).
Parlando di ‘prossimo’ ci saremo aspettati tutti che si riferisse alla persona che aveva bisogno di aiuto, ma invece Gesù chiede chi è il prossimo di colui che è stato malmenato. Il prossimo qui è colui che soccorre, non colui che è nel bisogno. Gesù invita lui e noi a farci prossimo, a essere vicino, a essere disponibile all’incontro, all’aiuto con l’altro. La domanda giusta da porci quindi non è tanto “chi è il mio prossimo?”, ma “di chi sono prossimo io?”.
Sono io che decido di amare Dio con tutto il mio cuore, la mia anima, la forza e la mente. Lo amo perché so quanto sono stato amato e voglio ricambiare, in qualche modo, anche se insufficiente e imperfetto, quel Dio che mi ha amato al punto di dare la mia vita per me. Lui si è fatto ‘prossimo’, ha visto la mia condizione, si è avvicinato, si è preso cura di me e mi ha salvato, mettendomi anche in condizione di amare (1 Giovanni 4:19), di diventare quello che da solo non sarei mai stato. Anche noi quindi dobbiamo farci prossimo dell’altro, di un altro vicino a noi, di colui che incontriamo sulla nostra strada. Non per fotografarlo a debita distanza, ma per dimostrargli amore con la nostra vicinanza, la nostra prossimità.
Quale di questi tre ti pare essere stato il prossimo di colui che s’imbatté nei ladroni? Quegli rispose: «Colui che gli usò misericordia». Gesù gli disse: «Va’, e fa’ anche tu la stessa cosa» (vv. 36-37).
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