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Il viaggio di Pasqua

In Italia abbiamo il proverbio “Natale con i tuoi, Pasqua con chi vuoi”, indicando la Pasqua come un periodo di maggiore libertà dai legami familiari e con anche maggiori possibilità di viaggio e spostamenti “fuori porta”. Al di là dei vari cambiamenti sociali in atto, il fatto che la Pasqua arrivi sempre in primavera, è senz’altro un altro fattore che spinge molti a cercare ad andarsene da casa per qualche giorno.

Ma per qualcuno questa partenza pasquale aveva un ben altro significato. Nel suo lungo discorso durante l’ultima cena (Vangelo di Giovanni, capitoli da 13 a 17), nei giorni della Pasqua ebraica, Gesù dichiarò più volte che stava per andarsene. E con questo intendeva il suo ritorno al Padre, ma che sarebbe passato prima per la sua imminente morte e resurrezione. La sua sarebbe stata una vera e propria dipartita, nel doppio senso che noi diamo a questa parola, ossia di commiato, partenza, ma anche usandola come eufemismo per parlare della morte.

I suoi discepoli all’inizio non capirono dove Gesù stava per andare: “Signore, dove vai?... Signore, non sappiamo dove vai” (Giovanni 13:36; 14:5). Del resto, avevano avuto già in precedenza difficoltà a capire tutto il discorso riguardo a quello che gli sarebbe successo in quei giorni di Pasqua (Luca 18:31-34).

Gesù allora si premurò innanzitutto di spiegare loro che sì, se ne sarebbe andato, ma che sarebbe anche tornato (Giovanni 14:3). La sua non era quindi una partenza definitiva, ma un arrivederci, in attesa di vivere per sempre con lui (Giovanni 14:1-3).

Aggiunse poi che questo suo andarsene doveva essere visto da loro con gioia: Io me ne vado, e torno da voi; se voi mi amaste, vi rallegrereste che io vada al Padre” (14:28).

Il fatto che Gesù tornasse al Padre significava che l’opera sua come Figlio di Dio fatto uomo era compiuta e che ora poteva tornare alla gloria che aveva prima della sua incarnazione, dopo aver glorificato il Padre sulla terra (Giovanni 17:4-5); gloria che Gesù trasmette anche a tutti coloro che hanno creduto in lui (17:22-23), stabilendo una perfetta comunione dei credenti con il Padre e il Figlio. E di questo c’era senza altro di cui rallegrarsi!

Ma c’è un altro aspetto che Gesù evidenzia e che avrebbe dovuto trasformare la loro tristezza in gioia: perché vi ho detto queste cose, la tristezza vi ha riempito il cuore. Eppure, io vi dico la verità: è utile per voi che io me ne vada; perché se non me ne vado, non verrà a voi il Consolatore; ma se me ne vado, io ve lo manderò (Giovanni 16:6-7).

È solo dopo il suo ritorno al Padre che lui potrà adempiere quanto aveva loro promesso: io pregherò il Padre, ed egli vi darà un altro Consolatore perché sia con voi per sempre... il Consolatore, lo Spirito Santo, che il Padre manderà nel mio nome, vi insegnerà ogni cosa e vi ricorderà tutto quello che vi ho detto...Quando sarà venuto il Consolatore che io vi manderò da parte del Padre, lo Spirito della verità che procede dal Padre, egli testimonierà di me (Giovanni 14:16, 26; 15:26). Se Gesù fosse rimasto con loro quella Pasqua, se non avesse proseguito la sua opera che comportava il suo sacrificio per tutti gli uomini e la sua gloriosa vittoria sulla morte, nulla sarebbe potuto succedere. Loro e noi saremmo rimasti soli. E soli purtroppo sono coloro che ancora non si arrendono al suo amore, credendo in lui.

Tutti i veri credenti hanno invece sperimentato e sperimentano ogni giorno la presenza di Dio, in Gesù, e per mezzo dello Spirito Santo che vive in loro (Romani 8:9-11; 1 Corinzi 3:16).

È per questo che Gesù definisce questa sua partenza, come qualcosa di “utile” (Giovanni 16:7), cioè che crea un vantaggio, un beneficio, un aiuto sempre presente e pronto.

Altre due volte nel suo vangelo Giovanni usa la stessa parola, pronunciate profeticamente dal sommo sacerdote Caiafa (non consapevole del suo reale significato e valore e con ben altri obiettivi), entrambe in riferimento al sacrificio di Gesù: Ora Caiafa era quello che aveva consigliato ai Giudei essere cosa utile che un uomo solo morisse per il popolo. (Giovanni18:14; vedi 11:50). Non è stato solo utile, è stato indispensabile per tutti noi.

In questi giorni di Pasqua, ma non solo ovviamente, ringraziamo Gesù per non essersi fermato a tavola con i suoi discepoli, ma per aver fatto tutto quello che era necessario, utile e vantaggioso per tutti noi, anche se il prezzo da pagare è stato immenso. E ringraziamolo che poi ha vinto sulla morte e se ne è andato, che è tornato al Padre, non per lasciarci soli, ma per stare permanentemente con noi per mezzo del suo Spirito. In attesa del suo ritorno, rallegriamoci per tutto questo!



 
 
 

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