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Diamo i numeri… o i nomi?

Italia, tempo del coronavirus, ore 18. Arriva la quotidiana, drammatica, conta dei contagiati, dei ricoverati in terapia intensiva e, purtroppo, dei morti. Sono dati ovviamente importanti, che non solo ci aggiornano sulla situazione, ma ci fanno anche capire a che punto siamo, come si evolve l’epidemia, che ci fanno intravedere o meno se stiamo andando verso un calo o se il picco non è ancora arrivato. Poi abbiamo gli stessi numeri a livello regionale o da alcune provincie particolarmente colpite. E i numeri dall’estero, l’Europa, l’Asia, la paura che i numeri salgano in Africa e il nuovo boom negli Stati Uniti… numeri, tanti numeri.

Dietro ogni numero c’è però una persona, una vita, una storia sia personale che familiare. Un intreccio umano collegato da affetti e relazioni sociali di vario tipo. Per chi le conosce queste persone sono Maria, Luigi, Angelo o Francesca, sono papà, nonna, fratello o figlia, amico o collega. Hanno un volto e un’identità ben precisa, al di là che siano il paziente 1 o il 7431 di una lista.

È logico che non si può fare ogni volta una lista infinita di nomi e cognomi, visto anche che c’è (ancora per poco forse) la legge sulla privacy… e allora le persone rimangono soprattutto numeri, dati statistici, casistiche da inserire in un database dal volto, purtroppo, poco umano.


Dio fin dall’inizio ha voluto che fosse dato un nome, non solo alle cose, ma soprattutto alle persone, a volte anche scegliendo o cambiando egli stesso il nome di coloro che avevano una relazione particolare con lui. E così anche l’uomo ha iniziato fin dal principio a chiamare per nome i suoi simili e a nominare Dio: L’uomo chiamò sua moglie Eva… ella partorì un figlio che chiamò Set… a Set nacque un figlio, che chiamò Enos. Allora si cominciò a invocare il nome del SIGNORE. (Genesi 3:20, 4:25, 26)

Il fatto di dare un nome alle persone non è solo un escamotage per identificarle più facilmente, ma indica unicità, personalità, una relazione di qualche tipo, un valore. Perlomeno così è per Dio: Ma ora così parla il SIGNORE, il tuo Creatore, o Giacobbe, colui che ti ha formato, o Israele: «Non temere, perché io ti ho riscattato, ti ho chiamato per nome; tu sei mio! (Isaia 43:1).

Quando l’angelo annuncia a Giuseppe l’arrivo del Messia per mezzo della sua promessa sposa Maria, lo fa indicandogli anche il nome che avrebbe dovuto portare: Ella partorirà un figlio, e tu gli porrai nome Gesù, perché è lui che salverà il suo popolo dai loro peccati». (Matteo 1:21). Gesù, cioè “il SIGNORE salva”. Lui che è, con un altro suo nome, l’Emmanuele, il “Dio con noi”, fatto uomo per salvarci.

Gesù agisce così anche con le pecore del suo gregge, che non sono un insieme di persone anonime, ma da lui conosciute, salvate e custodite una per una: egli chiama le proprie pecore per nome e le conduce fuori (Giovanni 10:3).

E sarà così fino alla fine, anche nell’eternità, quando Gesù darà a tutti coloro che credono in lui un nome nuovo, conosciuto solo da chi lo riceve: Chi ha orecchi ascolti ciò che lo Spirito dice alle chiese. A chi vince io darò della manna nascosta e una pietruzza bianca, sulla quale è scritto un nome nuovo che nessuno conosce, se non colui che lo riceve… e io non cancellerò il suo nome dal libro della vita, ma confesserò il suo nome davanti al Padre mio e davanti ai suoi angeli. (Apocalisse 2:17; 3:5). Ed ecco la che la relazione diventa ancora più personale, intima, privata. Quando ci chiamerà, saremo solo noi a rispondere, mentre ci presenterà al Padre come coloro che sono stati salvati dal suo sacrificio, con il nostro nome scritto per l’eternità nel libro della vita. Nomi, non numeri, ora e per sempre.


In attesa di quel giorno siamo invitati a far nostro oggi il dono della vita, rispondendo alla chiamata di colui che ci chiama per nome (Ebrei 4:7), e poi a rispecchiare quel modo di agire proprio di colui che ci ha salvati, avendo il suo esempio sempre davanti a noi, dando lode al suo nome: Abbiate in voi lo stesso sentimento che è stato anche in Cristo Gesù, il quale, pur essendo in forma di Dio, non considerò l’essere uguale a Dio qualcosa a cui aggrapparsi gelosamente, ma svuotò sé stesso, prendendo forma di servo, divenendo simile agli uomini; trovato esteriormente come un uomo, umiliò sé stesso, facendosi ubbidiente fino alla morte, e alla morte di croce. Perciò Dio lo ha sovranamente innalzato e gli ha dato il nome che è al di sopra di ogni nome, affinché nel nome di Gesù si pieghi ogni ginocchio nei cieli, sulla terra e sotto terra, e ogni lingua confessi che Gesù Cristo è il Signore, alla gloria di Dio Padre (Filippesi 2:5-11).


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