A nessuno piace soffrire. Tutti, potendo, eviterebbero situazioni come quelle attuali. Pensiamo in primo luogo a chi è negli ospedali che lotta tra la vita e la morte e a tutti coloro che li assistono. Pensiamo anche a coloro che salutano i loro cari, che dicono addio ai loro affetti. Tutti noi, senza distinzione, preferiremmo ridere invece che piangere, andare in un luogo di divertimento, piuttosto che in uno di sofferenza. Cosa ci può essere di positivo in tutto questo dolore?
La Parola di Dio parla moltissimo della sofferenza, della sua nascita, della sua natura, dei suoi effetti. Ma ci parla anche dei suoi risultati e, grazie a Dio, anche del suo superamento. In Ecclesiaste 7:3-4 leggiamo: La tristezza vale più del riso; poiché quando il viso è afflitto, il cuore diventa migliore. Il cuore del saggio è nella casa del pianto; ma il cuore degli stolti è nella casa della gioia.
Non è l’essere felice che fa di noi degli stolti, ma è il ridere mentre altri soffrono che è da sciocchi, da irresponsabili, per non dire di peggio. Nei primi giorni del diffondersi del coronavirus eravamo bombardati da messaggi pieni di battute più o meno spiritose. C’era voglia di scherzarci su, in parte forse anche per esorcizzare la paura, in parte semplicemente perché il problema stava sì affiorando, ma era ancora piuttosto lontano e non era ancora arrivato a condizionare pesantemente le nostre vite. Molti di noi hanno perciò riso e poi condiviso questi messaggi.
Poi il problema è esploso, irrompendo nelle vite di ognuno, avvicinandosi ogni giorno di più. Giorno dopo giorno vediamo aumentare i contagiati, i morti, vediamo le lacrime di medici e infermieri stremati dalla fatica e da quello che vedono e vivono. Giorno dopo giorno sta crescendo, e ci auguriamo ancora per poco, il numero degli infettati nella nostra regione, nella nostra città, nel nostro paese. Giorno dopo giorno ci arrivano notizie sempre più frequenti di persone che conosciamo, dei loro parenti e amici, colpiti dal male…
Ed ecco che le battute e i filmati spiritosi iniziano piano piano a diminuire e con essi anche la voglia di scherzare. Molte persone si fanno via via un po’ più sensibili, più consapevoli. Aumentano i casi di solidarietà concreta, i messaggi di incoraggiamento. Aumentano le chiamate ad amici e parenti lontani che non sentivamo da tempo, per sapere come stanno. Ecco quindi il risultato: il cuore è diventato migliore. Forse non per tutti, ma per molti senz’altro. Infatti la sofferenza produce qualcosa, innesca un meccanismo positivo, soprattutto per coloro che la mettono nelle mani di Dio e la lasciano agire nella propria vita: …ci gloriamo anche nelle afflizioni, sapendo che l’afflizione produce pazienza, la pazienza, esperienza, e l’esperienza, speranza. Or la speranza non delude, perché l’amore di Dio è stato sparso nei nostri cuori mediante lo Spirito Santo che ci è stato dato (Romani 5:3-5).
Rallegratevi con quelli che sono allegri; piangete con quelli che piangono (Romani 12:15). Molti hanno forse anche capito che questo è il momento di partecipare con il proprio dolore al dolore altrui, che c’è un tempo per ridere insieme e uno per piangere insieme (Ecclesiaste 3:4 – vedi anche il post Tempi diversi su questo blog). Definiamo questo con le parole compassione e simpatia, nel loro significato originale di “soffrire con”.
Chi è credente ed è abituato a vivere gli insegnamenti della Parola di Dio, sa quanto questo sia sempre stato vero anche a livello di comunità cristiana (1 Corinzi 12:26-27).
Ora c’è da capire quanto durerà questo effetto benefico. Bisognerà valutare se, in quelli che hanno permesso alla sofferenza di migliorare il proprio cuore, questa rimarrà come una lezione duratura o se, quando questo brutto momento passerà, il tutto svanirà. Dobbiamo fare in modo che il cuore rimanga in quello stato di maggiore e migliore sensibilità a cui la condivisione della sofferenza lo ha portato. Se lasciamo che l’amore di Dio penetri i nostri cuori nella sofferenza, il frutto rimarrà. Un frutto che ci fa anche guardare oltre al momento, alla situazione di oggi, facendoci fissare gli occhi ben al di là di essa.
Perciò non ci scoraggiamo; ma, anche se il nostro uomo esteriore si va disfacendo, il nostro uomo interiore si rinnova di giorno in giorno. Perché la nostra momentanea, leggera afflizione ci produce un sempre più grande, smisurato peso eterno di gloria, mentre abbiamo lo sguardo intento non alle cose che si vedono, ma a quelle che non si vedono; poiché le cose che si vedono sono per un tempo, ma quelle che non si vedono sono eterne. Sappiamo infatti che se questa tenda, che è la nostra dimora terrena, viene disfatta, abbiamo da Dio un edificio, una casa non fatta da mano d’uomo, eterna, nei cieli. Perciò in questa tenda gemiamo, desiderando intensamente di essere rivestiti della nostra abitazione celeste (2 Corinzi 4:16-5:2).
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