Durante una recente visita al carcere minorile di Nisida, il presidente Mattarella ha parlato ai giovani detenuti di considerare la loro esperienza negativa, una volta scontata la pena, come una cicatrice che con il tempo piano piano scompare e della quale nessuno farà più caso. Un giusto discorso di incoraggiamento a questi giovani per trovare pieno riscatto una volta usciti dal carcere.
Purtroppo ci sono a volte cicatrici che rimangono ben visibili, anche se la ferita è completamente guarita. Cicatrici che sono lì a testimoniare quanto successo una volta.
Altre volte però ci troviamo con ferite interne, con cicatrici magari non visibili da fuori, di cui nessuno, o forse solo pochi, conoscono la natura e quanto questo continui a farci male. Il fatto che non ci sia un segno visibile, evidente, può ovviamente portare le persone che ci circondano a ignorare il nostro problema, a volte inconsapevolmente, a volte semplicemente per una certa dose di indifferenza o di incapacità, o non volontà, di percepire il dolore che quelle ferite invisibili ci provocano. A volte basterebbe guardare meglio negli occhi, cogliere piccoli segnali, ma non è sempre facile, soprattutto se siamo noi, i feriti, a non esporre la nostra sofferenza.
Dio, parlando tramite il profeta Geremia al popolo d’Israele delle sue ferite, di quello che ha subito durante la schiavitù dell’esilio, di quella deportazione arrivata principalmente a causa del proprio comportamento, promette che, dopo la ferita, ci sarà la cura: Ma io medicherò le tue ferite, ti guarirò dalle tue piaghe”, dice il SIGNORE, “poiché ti chiamano la scacciata, la Sion di cui nessuno si cura... Ecco, io recherò ad essa medicazione e rimedi, guarirò i suoi abitanti e aprirò loro un tesoro di pace e di verità” (Geremia 30:17; 33:6).
Nessuno si prendeva cura delle ferite del popolo d’Israele in esilio. Del resto, non era stata forse colpa loro erano arrivati a questo punto? Non erano state le loro scelte sbagliate a provocare quelle piaghe?
Forse anche noi abbiamo ferite che sono state conseguenze del nostro comportamento passato e delle quali facciamo fatica a guarire, delle quali nessuno si cura. O forse sono state altre persone o altre situazioni di cui noi non abbiamo colpa, a farci un taglio nell’anima a cui sembra nessuno faccia caso.
Qualunque sia stata la causa di quelle ferite, visibili o meno, possiamo ancora una volta cercare e trovare piena guarigione in colui che vede anche le lacerazioni più intime, più personali.
Gesù, parlando dei nostri peccati, ha detto che “Non sono i sani che hanno bisogno del medico, ma i malati” (Matteo 9:12). Lui è venuto per sanare le nostre malattie, prendendole su di sé, come abbiamo ricordato più volte (Isaia 53:4; Matteo 8:17; 1 Pietro 2:24).
Mentre la cura al problema del peccato che ci separava da lui è, per fede e per grazia, immediata e definitiva, quella per le nostre frequenti cadute e ferite è quotidiana e progressiva. Un’azione continua in cui noi, i pazienti, si affidano giorno dopo giorno a lui, il medico. Ci saranno giorni più facili e altri più difficili, ma il nostro medico è sempre lì, sempre disponibile. Userà principalmente la sua Parola, che scaverà fin nelle parti più intime, in modo chirurgico, preciso, per giungere alla sorgente del problema (Ebrei 4:12).
Infatti così dice il Signore, DIO: “Eccomi! Io stesso mi prenderò cura delle mie pecore e andrò in cerca di loro... Io cercherò la perduta, ricondurrò la smarrita, fascerò la ferita, rafforzerò la malata... (Ezechiele 34:11, 16); ... perché io sono il SIGNORE, colui che ti guarisce (Esodo 15:26).
Lasciamo che la sua azione ci lenisca ferite e dolori. Assaporiamola e aggrappiamoci a ogni singola parola affinché, goccia dopo goccia, porti beneficio e cura alla nostra anima, perché “egli guarisce chi ha il cuore spezzato e fascia le loro piaghe” (Salmo 147:3).
Infine, permettiamogli anche, se così deve essere, che possa usare quei dolori per plasmarci, per migliorarci, mentre dolcemente si prende cura di noi. Lasciamo al medico la scelta, la modalità e i tempi della cura, ma sicuri che si sta occupando di noi.
Se poi rimangono delle cicatrici visibili, vuol dire che è stato fatto un intervento, a volte forse invasivo, ma che aveva come obiettivo la nostra guarigione. Non concentriamoci quindi su quelle cicatrici per far riaffiorare i ricordi del male che stava sotto, ma a tutto quello è stato fatto, e che sta facendo, per rimuoverlo.
Benedici, anima mia, il SIGNORE; e tutto quello che è in me, benedica il suo santo nome.
Benedici, anima mia, il SIGNORE e non dimenticare nessuno dei suoi benefici.
Egli perdona tutte le tue colpe, risana tutte le tue infermità; salva la tua vita dalla fossa,
ti corona di bontà e compassioni; egli sazia di beni la tua esistenza
e ti fa ringiovanire come l’aquila (Salmo 103:1-5).
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