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Divieto d’accesso (per amore)

Ammettiamolo, i divieti, le limitazioni non ci piacciono. Il fatto che qualcuno ci dica che una certa cosa non si può fare, che in un certo luogo non si può andare, viene visto come un ostacolo alla nostra libertà personale. Libertà di dire, fare, andare e comportarsi in base alla propria volontà, non a quella altrui.

Una delle tante cose che le limitazioni poste dalla pandemia ci dovrebbe insegnare è che certe regole sono indispensabili, perché altrimenti i rischi di contagio, con tutte le sue conseguenze, si moltiplicherebbero. Se dovessimo guardare solo a quello che vogliamo, ai nostri desideri, non vorremmo certo che qualcuno ci imponesse dei divieti. Ma come ogni cartello di divieto di accesso in una certa strada ci protegge dal rischio reale di andare a sbattere contro qualcuno che arriva dall’altra parte, anche quelle restrizioni sono per il nostro bene, altrimenti la nostra libertà di scelta sarebbe solo una pericolosa e controproducente mossa azzardata, per la nostra e altrui incolumità.

Dio, dopo che l’uomo scelse di rendersi indipendente da lui, avvalendosi della possibilità di decidere da solo cosa fosse bene e cosa fosse male, nonostante Dio lo avesse chiaramente avvertito delle conseguenze, chiude l’accesso al giardino dell’Eden, al luogo della vita. Leggiamo: Poi Dio il SIGNORE disse: «Ecco, l’uomo è diventato come uno di noi, quanto alla conoscenza del bene e del male. Guardiamo che egli non stenda la mano e prenda anche del frutto dell’albero della vita, ne mangi e viva per sempre». Perciò Dio il SIGNORE mandò via l’uomo dal giardino di Eden, perché lavorasse la terra da cui era stato tratto. Così egli scacciò l’uomo e pose a oriente del giardino di Eden i cherubini, che vibravano da ogni parte una spada fiammeggiante, per custodire la via dell’albero della vita (Genesi 3:22-24).

Un divieto di accesso perentorio e assoluto. Una punizione dunque? No, una protezione.

La decisione del loro rifiuto di porre fiducia in quanto detto da Dio aveva già provocato delle conseguenze, che Dio spiegherà bene a tutti i protagonisti di quella triste vicenda (Genesi 3:9-19). Ma dopo di quello Dio riveste l’uomo con delle tuniche di pelle, preannunciando quello che sarebbe stato il sacrificio espiatorio per il peccato (v. 21). Un atto d’amore, non di giudizio. Un’offerta di una soluzione temporanea in attesa e in vista di quella definitiva messa in atto da Gesù con il suo sacrificio fatto una volta per sempre (Ebrei 7:27; 9:12; 10:10-12). Però il sangue di animali non poteva giustificare, nemmeno temporaneamente, l’uomo che non avesse riconosciuto il suo peccato, la sua scelta di totale indipendenza da Dio (Ebrei 10:4). L’uomo, in quella condizione, se avesse avuto accesso all’albero della vita, sarebbe rimasto separato da Dio per l’eternità, in una condizione di eterna perdizione. Ecco quindi il divieto. Anche in questo caso una protezione, un atto d’amore verso un uomo ribelle, in attesa che lui comprenda e ammetta le sue colpe, accettando il perdono gratuito di Dio. Solo indossando un abito nuovo, frutto del sacrificio di Gesù, avremo libero accesso all’albero della vita, senza più vincoli o divieti.

Giustificati dunque per fede, abbiamo pace con Dio per mezzo di Gesù Cristo, nostro Signore, mediante il quale abbiamo anche avuto, per la fede, l’accesso a questa grazia nella quale stiamo fermi, e ci gloriamo nella speranza della gloria di Dio (Romani 5:1-2).

Chi ha orecchi ascolti ciò che lo Spirito dice alle chiese. A chi vince io darò da mangiare dell’albero della vita, che è nel paradiso di Dio”… Beati quelli che lavano le loro vesti per aver diritto all’albero della vita (Apocalisse 2:7; 22:14).

Per amore, prima ci ferma e ci tiene fuori. Poi, per amore, ci perdona e ci fa entrare.


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