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Imparare dal passato. Testimonianze evangeliche al tempo dell'epidemia (seconda parte)


Nell’800 diverse epidemie di colera si diffusero in varie zone d’Europa, causando decine di migliaia di vittime. Ecco due testimonianze dell’epoca, tratte dalle esperienze diretta di due servitori di Dio, George Müller e Charles Spurgeon, che hanno qualcosa da insegnare a tutti noi:


«17 agosto 1832 - Stamattina, dalle sei alle otto, nella comunità Gideon abbiamo avuto una riunione di preghiera per il colera. Erano presenti fra le duecento e le trecento persone. (Durante l’epidemia di colera a Bristol abbiamo tenuto ogni mattina questi incontri di preghiera; poi li abbiamo trasformati in incontri di preghiera per tutto il mondo. Complessivamente, li abbiamo tenuti regolarmente per quattro mesi.)

24 agosto - Stamattina si è ammalata di colera una sorella in fede che abitava a soli 50 metri da noi; è morta questo pomeriggio. Suo marito, anche lui credente, è stato contagiato ed è forse vicino alla fine. Solo Dio sa chi sarà il prossimo, mai ho sentito tanto chiaramente la vicinanza della morte; se il Signore questa notte non ci preserva, forse già domani mattina non saremo più nella terra dei viventi. O Signore, mi metto nelle tue mani! Ecco il tuo povero, inutile figlio! Se stanotte verrò colpito dal colera, la mia unica speranza e fiducia è il sangue di Cristo, che è stato versato per il perdono di tutti i miei peccati. In questo sangue sono stato completamente lavato e sono coperto dalla giustizia di Dio. (Vorrei osservare già a questo punto che sia io che il fratello Craik e le nostre famiglie siamo stati preservati dal Signore, nella sua grazia, sebbene visitassimo giorno e notte malati di colera.)

3 ottobre - Questa giornata l’abbiamo dedicata completamente al ringraziamento perché l’epidemia di colera si sta affievolendo.

5 ottobre - Come al solito, riunione di preghiera la mattina. I casi di colera sono diminuiti notevolmente, il numero di coloro che partecipano ai nostri incontri mattutini anche. Centinaia di persone sono state scosse da questa epidemia di colera, ma molte di loro, appena il richiamo di Dio è passato, hanno anche smesso di preoccuparsi della loro anima. Ma comunque un gran numero di persone è stato stimolato a cercare il Signore e ora partecipa alla Cena del Signore e vive nel timore del Signore. In fondo, quanto è stato misericordioso per molti tale pesante giudizio». (tratto da Diari di George Müller, pp. 66-68)


«Nel 1854 … si verificarono alcune circostanze in cui Spurgeon seppe dimostrare il suo amore per l’umanità e la sua volontà di dedicarsi alla cura delle persone nel bisogno.

In quel periodo, un’epidemia di colera asiatico cominciò a infuriare a Londra, soprattutto nell’area a sud del Tamigi. Spurgeon cancellò tutti gli impegni fuori città e si prodigò nelle visite agli ammalati. La mattina fece il suo ingresso in varie famiglie. Quasi ovunque c’era sofferenza e spesso anche morte. "Una famiglia dopo l’altra”; disse, “mi chiama al capezzale degli ammalati e quasi ogni giorno ero chiamato anche a visitare delle tombe". Spurgeon condusse quest’opera con grande amore nei confronti dei malati e vera compassione verso chi era stato privato dei propri cari. In ogni ora della notte poteva essere svegliato da qualche urgente richiesta di vista e di preghiera per qualcuno che sembrava essere sulla soglia dell’eternità.

Questa mole di lavoro lo portò ben presto all’esaurimento. Non solo era stanco, ma cominciò anch’egli ad ammalarsi. In queste condizioni, ritornando un giorno da un funerale, notò un pezzo di carta nella vetrina di un calzolaio. Con sua grande gioia scoprì che si trattava di un versetto della Scrittura: “Poiché tu hai detto: «O Signore, tu sei il mio rifugio», e hai fatto dell’Altissimo il tuo riparo, nessun male potrà colpirti, né piaga alcuna s’accosterà alla tua tenda” (Salmo 91:9-10). Subito dopo aver letto quel versetto Spurgeon assunse un’espressione più sollevata. "La fede si appropriò di quel versetto”, ricorda, “io mi sentii sicuro, rinfrancato, cinto di immortalità. Andai a visitare il morente con uno spirito calmo e pacifico, e non ne soffrì male alcuno"».

(tratto da Charles Haddon Spurgeon. La biografia di Arnold Dallimore, pp. 74-75).




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