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Mettere la testa fuori

“L’Italia mette la testa fuori”, intitolava tre giorni fa La Repubblica, sottolineando la nuova fase di aperture inaugurata proprio il 4 maggio. Un’uscita tutto sommato timida, visto che non c’è stato il temuto assalto a autobus, tram e treni.

Uno che ha fatto fatica a tirar fuori la testa è stato il profeta Elia. Il rischio di prendere come esempio i grandi personaggi della Bibbia è che ci possono sembrare molto, molto lontani dalla nostra esperienza. Ma, per quanto con una vita ricca di elementi straordinari e unici, loro erano uomini come noi. Così ci dice la Bibbia di Elia: Elia era un uomo sottoposto alle nostre stesse passioni, e pregò intensamente che non piovesse e non piovve sulla terra per tre anni e sei mesi. (Giacomo 5:17). Se da un lato la fede di Elia lo portò a far muovere Dio in maniera del tutto soprannaturale, dall’altro ci viene ricordato che egli viveva le stesse nostre passioni, cioè sentimenti, circostanze, esperienze, emozioni e debolezze comuni alle nostre. E per darci conferma di questo la Scrittura ci riporta l’episodio descritto in 1 Re 19.

Elia usciva da un’esperienza esaltante, come possiamo vedere in 1 Re 17 e 18, ma a un certo punto si rese conto che tutti i suoi sforzi e le potenti opere di Dio fatte per suo mezzo, non riuscirono a smuovere più di tanto il re Acab e sua moglie Iezebel, che avevano trascinato il popolo all’idolatria. Anzi, tramano di ucciderlo (1 Re 19:2) e quindi Elia fugge via nel deserto, abbandonandosi a uno stato di disperazione e depressione (vv. 3-4).

Dio però provvede per lui: riposo, cibo, nuove forze, incoraggiamento (vv. 5-8). Una volta riprese le forze camminò fino al “monte di Dio”, cioè lì dove Dio aveva dato le tavole della legge a Mosè. Ma una volta lì, invece di godere della nuova libertà, della cura di Dio, di una presenza privilegiata, si ritira dentro una grotta. Ed ecco che Dio gli parla e gli dice “Che fai qui, Elia?” (v. 9). Ma Elia è ancora pieno del suo risentimento, del suo dolore, delle sue paure, si sente solo e abbandonato, non vedendo la luce in fondo al tunnel (v. 10).

Dio pare non ascoltare la risposta rabbiosa si Elia e, dopo averlo invitato a uscire, a metter fuori la testa dalla spelonca, si manifesta. Non nel vento forte ed impetuoso, non nel terremoto che tutto scuote, non nel fuoco che tutto brucia, ma in un “mormorio di vento leggero” (o, come altri traducono, in “un suono dolce e sommesso” o in “una voce, come un dolce sussurro” (vv. 11-12). E noi? Quando è stata l’ultima volta che ci siamo lasciati cullare da questa dolce voce?

Elia si copre il volto con il mantello, ma invece che uscire del tutto, si ferma all’ingresso della grotta, come se non riuscisse ancora a fidarsi nuovamente di quel Dio che aveva tanto amato e servito e che lo aveva usato in maniera tanto potente. Ma di nuovo Dio gli chiede: ‘Che fai qui, Elia?’ (v. 13). Ed Elia ripete, pari pari, le sue parole. La sua depressione, il suo stato d’animo, non lo vogliono ancora mollare e continua la sua perplessità, il suo stare ancora un po’ nel suo rifugio umano, lontano dagli uomini, ma non ancora abbastanza vicino a Dio (v. 14).

Spesso anche noi, nella prova più dura, agiamo allo stesso modo. Delusi, stanchi, oppressi, ci rifugiamo e chiudiamo nel nostro dolore. E non sempre ne usciamo subito. Rimaniamo lì, come se Dio non avesse agito, non ci avesse fatto sentire la sua voce. Ma Dio continua la sua opera, interviene con amore, con comprensione, con una sensibilità e una pazienza commovente. Non solo non si arrabbia, ma interviene. E ci parla una, due, tre... cento volte. Le prime magari non ascoltiamo nemmeno, e torniamo a dormire, come Elia. Altre volte magari ascoltiamo un po' di più, ma ancora dentro il nostro rifugio umano. Poi, piano piano, iniziamo a uscire, forse un po’ timorosi, esitando sull’uscio. Ma alla fine arriva la soluzione, la soluzione di Dio.

Dio affida a Elia un nuovo importante compito (v. 15), perché Dio non abbandona all’inattività, ma ha sempre qualche importante compito da farci svolgere, anche quando siamo in condizioni che noi pensiamo impossibili, come abbiamo ricordato ancora ieri, sostenuti solo dalla grazia sufficiente di Dio.

Dio gli dà un aiuto, qualcuno che starà al suo fianco e che poi proseguirà l’opera da lui iniziata e lo aiuterà nelle battaglie che ci saranno ancora da sostenere (v. 16-17). E infine gli ridà una giusta prospettiva, gli fa capire che non è solo nelle sue lotte, che la sua era una visione distorta della realtà. Certo, Dio è con lui, ma c’è anche tutta una parte del popolo, seppur una minoranza e a lui evidentemente non ben conosciuta, che è rimasta fedele a Dio e che quindi potrà, come l’amico e compagno Eliseo, stare al suo fianco (v. 18).

A noi non resta che imparare quello che Dio vuole insegnarci per mezzo di questa storia, la storia di un uomo che “era sottoposto alle nostre stesse passioni” e che faceva tanta fatica a uscire fuori da quella che era stata per lui sia prigione che rifugio. Accettiamo anche noi il dolce invito di Dio e usciamo fuori, andiamo a lui con fiducia. Ha le soluzioni giuste per la nostra vita.

E se, come novelli Eliseo, ci trovassimo di nuovo in circostanze difficili, davanti ad un fiume impetuoso che vuole bloccare il nostro cammino, possiamo raccogliere il mantello di Elia, quello che prima era un riparo, un velo posto davanti alla presenza di Dio, e aprire in due quel fiume, invocando il Dio d’Elia (2 Re 2:13-14).

Sì, è ora di rimettere fuori la testa.


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