Difficile accontentare tutti. Ognuno ha le proprie esigenze e urgenze e, una volta passata la fase acuta dell’emergenza, adesso si assiste a un ritorno massiccio di proteste e lamentele. Si torna a alzare la voce, ad accusare l’uno e l’altro, ripartono i primi scioperi. Niente di nuovo sotto il sole italiano, ma certo si poteva pensare che, mentre stanno ancora morendo centinaia di persone al giorno per questo virus, ci sarebbe stata più pazienza e comprensione verso chi si è trovato a gestire una situazione mai vissuta prima. Ma come al solito prevale il bisogno immediato e del singolo. Ne avevamo avuto chiaro sentore già da settimane, ma adesso che siamo in piena fase di riapertura, tutto si è fatto più evidente.
Così faceva il popolo d'Israele nel deserto. Dio, dopo aver ascoltato il grido disperato del popolo, promise che li avrebbe sottratti dalla dura schiavitù degli egiziani e, in maniera potente e miracolosa, li avrebbe fatti uscire da quella pesantissima situazione (Esodo 3:7-10). E così fece. Ma, fin da subito, e poi mentre attraversano il deserto, in viaggio verso la terra promessa da Dio, assistiamo a una sequenza impressionante di lamentele. Dio, tra rimproveri e messa in atto di alcuni severi giudizi, risponderà quasi sempre con infinita pazienza alle innumerevoli richieste e ai continui mormorii del popolo (per chi volesse approfondire consigliamo la lettura di Esodo, capitoli 14-17 e Numeri capitoli 11 e 12).
Una volta arrivati alle porte della terra promessa, una terra “dove scorre il latte e il miele”, Dio manda degli uomini a esplorare il paese e vederne i frutti rigogliosi (Numeri 13:23-27). C’era una vita da ricostruire, non sarebbe stato tutto facile e immediato e gli ostacoli non sarebbero mancati, ma l’esperienza recentissima e esaltante della loro liberazione avrebbe dovuto far capire che con il Signore avrebbero potuto affrontare anche le nuove sfide e superarle. Ma ecco che invece assistiamo alle ennesime lamentele del popolo contro Dio e contro coloro che li avevano guidati fino a lì: E screditarono presso i figli d'Israele il paese che avevano esplorato, dicendo: «Il paese che abbiamo attraversato per esplorarlo è un paese che divora i suoi abitanti; tutta la gente che vi abbiamo vista, è gente di alta statura; e vi abbiamo visto i giganti, figli di Anac, della razza dei giganti. Di fronte a loro ci pareva di essere cavallette; e tali sembravamo a loro». Allora tutta la comunità gridò di sgomento e alzò la voce; e il popolo pianse tutta quella notte. Tutti i figli d'Israele mormorarono contro Mosè e contro Aaronne, e tutta la comunità disse loro: «Fossimo pur morti nel paese d'Egitto! O fossimo pur morti in questo deserto! Perché il SIGNORE ci conduce in quel paese dove cadremo per la spada? Là le nostre mogli e i nostri bambini diventeranno preda del nemico. Non sarebbe meglio per noi tornare in Egitto?» E si dissero l'un l'altro: «Nominiamoci un capo, torniamo in Egitto!»' (Numeri 13:32-14:4)
Ora che finalmente era il momento di ripartire, di ricostruire una nuova vita, si fermano. Spaventati da nuovi ostacoli e dimenticando quelli, ben più difficili, appena superati. Avrebbero potuto entrare subito, ma con le loro lamentele, le loro paure, la loro mancanza di fede e il disprezzo verso quel Dio che li aveva liberati dalla schiavitù (Numeri 14:11), dovettero passare altri 40 anni vagando nel deserto, prima di entrare nella nuova terra.
Non so se siamo tra quelli che si lamentano continuamente o di quelli che si danno da fare per riconquistare, piano e piano e un po’ alla volta, quello che si è perso.
Come Dio ha sentito le grida del popolo e lo ha condotto fuori da quella terribile situazione, passando sì per un deserto arido, ma nel quale aveva provveduto per cibo, acqua, protezione e guida di giorno e di notte, così anche noi possiamo rivolgere a lui il nostro grido, la nostra richiesta di aiuto, affidandogli la nostra vita mentre, insieme, proviamo a uscire e ripartire… “senza mormorii e senza dispute” (Filippesi 2:14).
Forza, non siamo soli nel deserto.
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