… fissando lo sguardo su Gesù, colui che crea la fede e la rende perfetta (Ebrei 12:2).
Parafrasando il titolo dello spettacolo A me gli occhi, please, del recentemente scomparso Gigi Proietti, potremmo dire “A me gli occhi, figlio mio”. Gesù ci invita a guardarlo, a fissare i nostri occhi su di lui, senza distrazioni, con perseveranza. Cioè dobbiamo, non con un singolo atto, ma con un’attitudine costante e continua, affidarci a lui, alla sua guida, al suo esempio, al suo incoraggiamento. Accompagnati da quello sguardo fino alla meta, al traguardo e, una volta raggiunto e superato, fermarci, riposare tra le sue braccia, e trionfare con lui, vittoriosi.
Dobbiamo pensare non solo a finire la corsa, ma anche al nostro successivo incontro con lui, mentre corriamo. La Parola ci ricorda che tutti coloro che hanno posto la loro fede in Gesù, lo incontreranno nel giorno in cui “saremo sempre con il Signore”, per poi aggiungere “Consolatevi dunque gli uni gli altri con queste parole” (1 Timoteo 4:17-18). Chiunque voglia correre la gara terrestre senza guardare alla meta celeste oltre il traguardo, corre il rischio di fermarsi, scoraggiato e abbattuto, anche prima del traguardo.
Bella parola ‘consolare’ (greco parakaleō ‘chiamare qualcuno al proprio fianco, come aiuto, sostegno e difesa’), da cui deriva il nome ‘consolatore’, ‘avvocato’ (paraklētos), usato solo per Gesù (1 Giovanni 2:1) e per lo Spirito Santo (Giovanni 14:16, 26; 15:26; 16:7). Incoraggiati, aiutati, consolati da Gesù e dallo Spirito mandato da Gesù in coloro che credono, chiamati a sostenersi l’un l’altro lungo tutta la corsa, senza mai distogliere lo sguardo da colui che ha creato tutto questo.
Gesù che crea la fede e la rende perfetta. Gesù, l’oggetto della nostra fede, è l’archetipo (greco archēgos), l’iniziatore di quello che lui porta a perfezione, a completezza, a compimento. Lui, che è anche l’autore (archēgos) della nostra salvezza, una salvezza perfetta e completa, passata attraverso la sua personale sofferenza, per portarci nella gloria con lui: Infatti, per condurre molti figli alla gloria, era giusto che colui a causa del quale e per mezzo del quale sono tutte le cose rendesse perfetto, per via di sofferenze, l’autore della loro salvezza (Ebrei 2:10).
Lui la sua gara l’ha già corsa, e lo ha fatto per noi. La conosce in ogni dettaglio, ogni minimo passaggio, in ogni possibile difficoltà. La conosce e ci capisce perfettamente, anche se noi non abbiamo dovuto resistere come ha fatto lui, perché lui non ha corso potendo deporre i propri pesi, ma avendo tutto il peso del nostro peccato su di lui (Ebrei 12:3-4). Possiamo quindi fidarci, quando ci dice di guardare costantemente a lui con fede e fiducia, in ogni istante della nostra corsa, senza mai perderci d’animo.
Tutti coloro che corrono questa gara, con le regole che sono state proposte, con la testimonianza di chi ci ha preceduto, con l’esempio di Gesù, con il sostegno del suo sguardo attento che si incrocia con il nostro fisso su di lui, con l’incoraggiamento reciproco fatto da quelli che hanno lo Spirito di Dio in loro, non solo sosterranno e termineranno la corsa, ma avranno la garanzia della vittoria, perché in Gesù “noi siamo più che vincitori, in virtù di colui che ci ha amati” (Romani 8:37), come ci ricorda bene ancora l’apostolo Paolo: Ho combattuto il buon combattimento, ho finito la corsa, ho conservato la fede. Ormai mi è riservata la corona di giustizia che il Signore, il giusto giudice, mi assegnerà in quel giorno; e non solo a me, ma anche a tutti quelli che avranno amato la sua apparizione (2 Timoteo 4:7-8).
Amare la sua apparizione, la sua presenza, fissare il suo sguardo amorevole, lo sguardo di colui che è morto e risorto per noi, di colui che aveva gioia nell’affrontare la sua gara sapendo il risultato che avrebbe portato quella nostra, di colui che ci fa stare bene e che vuole che ci sentiamo bene durante tutto il faticoso percorso della nostra corsa terrena.
Quanto a me, io volgerò lo sguardo verso il SIGNORE, spererò nel Dio della mia salvezza; il mio Dio mi ascolterà (Michea 7:7).
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