La storia dei quattro bambini sopravvissuti da soli nella giungla colombiana per quaranta giorni, dopo lo shock subito dell’incidente aereo in cui sono morti tre adulti (tra cui la loro madre), ha suscitato meraviglia e stupore. Come hanno potuto resistere a quell’eta (la sorella più grande di 13 anni, la più piccola di solo 11 mesi, in mezzo un bambino di 4 anni e un’altra sorellina di 9) e in quelle condizioni? Molto è dovuto dall’ambiente in cui sono nati, dall’insegnamento ricevuto in famiglia e da un amore e una cura gli uni per gli altri, dove il più forte si prende cura del più debole e dove tutti sono uniti in un unico obiettivo: vivere resistendo, in attesa di un salvatore.
Storie simili sono già successe nel corso della storia, basti pensare anche al recente fatto (del 2018) dei ragazzini di una squadra di calcio thailandese, rimasti intrappolati in una grotta allagata e sopravvissuti per oltre due settimane in quelle condizioni. Storie di sopravvivenza reale a lieto fine, soprattutto grazie a quell’aiuto e sostegno reciproco.
Storie così drammaticamente diverse dagli squallori dei reality televisivi di “sopravvivenza”, da Survivor a l’Isola dei famosi (per non parlare del patetico Grande Fratello), dei quali scrive giustamente Gabriele Romagnoli su Robinson (inserto di Repubblica): «In tutte queste situazioni la sceneggiatura, contrabbandata come reazione naturale, prevede lo scontro, la macchinazione che porti all’eliminazione dell’altro. Il fine non è la salvezza comune, ma la sopravvivenza di uno solo, che si prenda tutto e regni, in casa o nell’isola. E lo chiamano reality».
La chiesa, non l’edificio in muratura ma l’organismo vivente formato da tutti coloro che credono in Cristo, viene paragonata a un corpo, dove ognuno ha funzioni precise: Da lui (Cristo) tutto il corpo, ben collegato e ben connesso mediante l’aiuto fornito da tutte le giunture, trae il proprio sviluppo nella misura del vigore di ogni singola parte, per edificare se stesso nell’amore (Efesini 4:16).
Dio ha collocato ciascun membro nel corpo, come ha voluto. Se tutte le membra fossero un unico membro, dove sarebbe il corpo? Ci sono dunque molte membra, ma c’è un unico corpo; l’occhio non può dire alla mano: «Non ho bisogno di te»; né il capo può dire ai piedi: «Non ho bisogno di voi». Al contrario, le membra del corpo che sembrano essere più deboli sono invece necessarie... perché non ci fosse divisione nel corpo, ma le membra avessero la medesima cura le une per le altre. Se un membro soffre, tutte le membra soffrono con lui; se un membro è onorato, tutte le membra ne gioiscono con lui. Ora voi siete il corpo di Cristo e membra di esso, ciascuno per parte sua (1 Corinzi 12:18-22; 25-27).
Questa è la vera chiesa, quella che resiste, che sopravvive “in mezzo a una generazione storta e perversa” (Filippesi 2:15) con l’aiuto e il sostegno reciproco, tramite la forza che le viene data dal suo Signore. La chiesa che Cristo, tramite la sua Parola, ha istruito e continua a istruire, dandole il perfetto manuale di sopravvivenza (2 Timoteo 3:16-17), in attesa che giunga il giorno del suo ritorno, in cui il Salvatore porterà finalmente a casa i suoi figli, nella casa eterna (Tito 2:11-13).
Far parte della vera chiesa di Cristo vuol dire quindi avere la garanzia di tutta una serie di interventi “gli uni per gli altri”, indispensabili per sopravvivere nella giungla della vita, della vita reale. Se ne fai parte, ringrazia Dio di questo privilegio. Se non sei ancora parte del corpo di Cristo, vai a lui, donagli la tua vita credendo in lui, ed egli ti farà entrare non in una casa di un falso reality, ma nell'edificio spirituale "che ha da servire come dimora a Dio per mezzo dello Spirito" (Efesini 2:22). Per vivere, non solo per sopravvivere.
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