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Tra le braccia del padre

Siamo tutti restati molto colpiti dalla tragedia della funivia Stresa-Mottarone, soprattutto dopo aver saputo che a provocarla è stata una manomissione dell’impianto frenante, fatta per non dover fermare l’impianto per sistemare delle anomalie e così perdere dei guadagni. Una sciagura, l’ennesima, per colpa dell’uomo, che ha spezzato 14 vite. C’è un solo sopravvissuto, Eitan, un bambino di 5 anni che nell’incidente ha perso i genitori e il fratellino. A quanto pare a salvarlo è stato l’abbraccio del padre durante la terribile caduta, che ha attutito i colpi dello schianto.

A Eitan, a cui auguriamo di riuscire a superare il trauma, resterà comunque per sempre il ricordo di quella famiglia persa per l’avidità umana e di quell’ultimo abbraccio del padre che gli ha permesso di restare in vita. Avrà ora bisogno di altre braccia forti che lo aiutino a ricominciare a vivere, a ritrovare speranza.

In un mondo così ingiusto, imprevedibile, dove tutto può cambiare in un momento e sconvolgere la nostra vita, abbiamo tutti bisogno della sicurezza dell’abbraccio di qualcuno che ci ama e che ci protegge dalle insidie della vita. Delle braccia sicure, a cui affidarci in ogni momento, anche quando siamo noi a essere stati lontani da esse.

Gesù ci ha lasciato un racconto, uno dei più conosciuti, in cui ci parla di un padre che accoglie tra le sue braccia un figlio che lo aveva abbandonato per seguire la sua, rivelatasi sciagurata, strada. Una vita che lui immaginava fatta di gioie e piaceri, ma che poi capisce essere stata una scelta sbagliata, anche nei confronti di suo padre e del Padre celeste: Egli dunque si alzò e tornò da suo padre. Ma mentre egli era ancora lontano, suo padre lo vide e ne ebbe compassione; corse, gli si gettò al collo e lo baciò. E il figlio gli disse: “Padre, ho peccato contro il cielo e contro di te: non sono più degno di essere chiamato tuo figlio” (Luca 15:20-21).

Il padre aspettava con trepidazione il ritorno del figlio e quando lo vide, ancora lontano, gli corse incontro per abbracciarlo e baciarlo, con compassione verso quel figlio che tanto aveva sbagliato nella sua vita, ma che ora era consapevole dei suoi errori e li confessa. E sarà festa (Luca 15:22-24), la stessa festa che c’è in cielo per ogni peccatore che, pentito, torna tra le braccia del padre (Luca 15:7, 10).

Come un pastore, egli pascerà il suo gregge: raccoglierà gli agnelli in braccio, li porterà sul petto(Isaia 40:11). Un padre che è pastore, che accudisce e protegge colui che ama, anche da un mondo malvagio che vuole strapparti la vita, per dartene una da cui nessuno potrà mai portarti via, e che lo fa offrendo sé stesso per salvare colui che era perduto: Io sono il buon pastore; il buon pastore dà la sua vita per le pecore... Le mie pecore ascoltano la mia voce e io le conosco, ed esse mi seguono; e io do loro la vita eterna, e non periranno mai, e nessuno le rapirà dalla mia mano. Il Padre mio che me le ha date è più grande di tutti; e nessuno può rapirle dalla mano del Padre. Io e il Padre siamo uno» (Giovanni 10:11, 27-30).

Sia che siamo vittime della malvagità altrui o delle nostre scelte, abbiamo sempre della braccia pronte ad accoglierci, delle mani pronte a sostenerci. Braccia che si sono allargate fino a essere appese a una croce e mani che si sono aperte per ricevere i chiodi, per poterci poi stringere in un abbraccio senza fine.


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