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Vincere o perdere

Per tutti coloro che amano il calcio, e la Nazionale in particolare, la ripresa delle partite che contano è senz’altro un bel momento. Ancora di più ovviamente se si assiste a partite vittoriose. Già, perché alla fine conta vincere. Il bel gioco, l’entusiasmo di certe giocate, rendono le partite ancora più belle, ma se non si vince non si portano a casa quei trofei che fanno la storia di una squadra. Vincere o perdere: quando c’è in gioco un risultato importante, alla fine tutto si riduce a quello.

La nostra vita sembra invece dover finire sempre con una sconfitta: la morte. Ci può essere vittoria, dopo aver lottato una vita intera, aver giocato tutte le nostre partite, se poi, alla fine, non rimane che un nome su una lapide? Cosa distingue quindi un animale da un uomo, se la fine per tutti è solo la morte? Così, tragicamente e molto umanamente, meditava un affranto Salomone: Di tutto quello che i miei occhi desideravano io nulla rifiutai loro; non privai il cuore di nessuna gioia, poiché il mio cuore si rallegrava di ogni mia fatica, ed è la ricompensa che mi è toccata di ogni mia fatica. Poi considerai tutte le opere che le mie mani avevano fatte, e la fatica che avevo sostenuto per farle, ed ecco che tutto era vanità, un correre dietro al vento, e che non se ne trae alcun profitto sotto il sole… Infatti, la sorte dei figli degli uomini è la sorte delle bestie; agli uni e alle altre tocca la stessa sorte: come muore l’uno, così muore l’altra. Hanno tutti un medesimo soffio, e l’uomo non ha superiorità di sorta sulla bestia, poiché tutto è vanità. (Ecclesiaste 2:10-11; 3:19).

È quindi questa la sorte di ognuno di noi? Una corsa dietro al vento e nessuna vittoria finale?

Salomone, capirà e spiegherà poi bene, che c’è qualcos’altro che dà un senso a tutto questo: Ascoltiamo dunque la conclusione di tutto il discorso: «Temi Dio e osserva i suoi comandamenti, perché questo è il tutto per l’uomo» (Ecclesiaste 12:15). Solo in Dio e nella nostra relazione con lui, sta il nostro tutto.

Però anche questo si scontra con una triste realtà: può l’uomo seguire tutto quello che viene indicato da Dio? E se manchiamo in qualcosa? Se noi, giocatori della partita della nostra vita, sbagliamo nel mettere in atto le indicazioni dell'allenatore? Chiunque infatti osserva tutta la legge, ma la trasgredisce in un punto solo, si rende colpevole su tutti i punti (Giacomo 2:11). Per dirla in termini calcistici, puoi anche giocare bene, ma se poi sbagli il rigore che poteva farti vincere, il tuo bel gioco non è servito a nulla.

Ed è proprio lì che entra in gioco la grazia. La legge, i comandamenti, ci sono stati dati non solo per farci capire la volontà di Dio, ma anche per farci rendere conto dell’impossibilità da parte nostra di adempierli tutti e sempre. Il tutto per farci abbracciare la grazia che è arrivata tramite la fede nell’opera di Gesù (Romani 3:20; 8:1-3; 11:32; Galati 2:16). E con la sua vittoria sulla morte, arriva la nostra vittoria: «O morte, dov’è la tua vittoria? O morte, dov’è il tuo dardo?» … ma ringraziato sia Dio, che ci dà la vittoria per mezzo del nostro Signore Gesù Cristo. (1 Corinzi 15:55, 57).

Il fine, in Dio, è la vittoria. Fuori di lì, rimane solo la sconfitta. Ma la partita della vita l’ha giocata lui per noi, ed ha vinto. Ora non ci resta che giocare la nostra partita, e giocarla al meglio, ma mai soli, con lo sguardo sempre fisso su lui, e con lo scudetto già impresso sulla maglia. Aspettando il trionfo finale.


Noi canteremo di gioia per la tua vittoria, alzeremo le nostre bandiere nel nome del nostro Dio. (Salmo 20:5)

Chi vince erediterà queste cose, io gli sarò Dio ed egli mi sarà figlio. (Apocalisse 21:7)

Poiché tutto quello che è nato da Dio vince il mondo; e questa è la vittoria che ha vinto il mondo: la nostra fede. Chi è che vince il mondo, se non colui che crede che Gesù è il Figlio di Dio? (1 Giovanni 5:4-5).



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