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L'amore che non fa male

Tra i principi che fanno parte dell’etica biomedica, abbiamo quello della non maleficenza, ossia l’impegno non solo a cerca il bene del paziente (principio di beneficenza), ma anche quello di non causargli danno. Spesso si cita questo principio con la locuzione latina primum non nocere, ‘primo non nuocere’. Questo principio, fondamentale per chi ha a che fare quotidianamente con la salute altrui, dovrebbe essere anche un obiettivo di vita per chi si dichiara cristiano.

Davide, nel salmo 15, ricorda alcuni dei comportamenti che dovrebbero caratterizzare il credente (Salmo 15:1-3). Tra le varie cose, c’è anche quella di “non fare male alcuno al tuo vicino”, cioè agli altri, alle persone che incontri nella tua vita.

Beneficenza e non-maleficenza sono ovviamente strettamente legati tra di loro. Il primo si basa su una scelta attiva di fare ciò che procura il bene altrui e che vorremmo fosse fatto a noi (Matteo 7:12). Cristianamente, questo si chiama amore per il prossimo. Il secondo è l’astenersi da tutto quello che, direttamente o indirettamente, possa provocare un qualsiasi danno all’altro.

L’amore cristiano per il prossimo ha come modello quello di Cristo, cioè quell’amore (agapē) che è sacrificio di sé a favore dell’altro. Un amore che spinge alla ricerca dell’interesse altrui prima di quello personale (vedi post Alla ricerca del proprio interesse). Sarà proprio questo amore a impedirci di fare il male: L’amore non fa nessun male al prossimo (Romani 13:10).

Quando entro in relazione con l’altro, penso se quello che dico o non dico, quello che faccio o non faccio, fa bene o fa male all’altro? Le mie scelte di vita sono caratterizzate solo dal cercare quello che fa bene a me o quello che non fa male a me, o sono spinte anche da quell’amore che “non cerca il proprio interesse” (1 Corinzi 13:4-5)?

Forse non ci riflettiamo a sufficienza, ma spesso nella spasmodica ricerca del nostro bene, della nostra libertà, del nostro interesse, della nostra salute, stiamo violando e mettendo a rischio il bene, la libertà, l’interesse e la salute altrui.

Colui che crede in Dio, confida che sarà in primo luogo il Signore che lo proteggerà dalle situazioni difficili nella propria vita, e a lui chiede aiuto e sostegno: Proteggimi, o Dio, perché io confido in te. Ho detto al SIGNORE: «Tu sei il mio Signore; non ho bene alcuno all’infuori di te». (Salmo 16:1). E questo anche quando c’è la possibilità di mettere a rischio sé stessi per salvaguardare l’altro o quando il nostro prossimo non agisce allo stesso modo nei nostri confronti: Guardate che nessuno renda ad alcuno male per male; anzi cercate sempre il bene gli uni degli altri e quello di tutti (1 Tessalonicesi 5:15).

Farlo da soli, con le proprie forze è anche in questo caso qualcosa di utopico, di irrealizzabile. Confidare invece nel sostegno e nell’aiuto di Dio, non solo per il bene delle nostre vite, ma anche per il bene che noi possiamo fare alle persone vicine a noi o per evitare di fare loro del male, vuol dire permettergli di installare in noi sia il desiderio che il modo di mettere in atto l’amore per il prossimo, seguendo l’esempio di Gesù: infatti è Dio che produce in voi il volere e l’agire, secondo il suo disegno benevolo (Filippesi 2:13), sempre consapevoli che “SIGNORE, tu ci darai la pace, poiché ogni opera nostra la compi tu per noi” (Isaia 26:12).

Gesù non ha guardato al proprio benessere quando si è offerto in sacrificio per noi, ma ha guardato al mio e al tuo bene, cercando non solo di non nuocerci, ma di venire incontro ai nostri bisogni, anche quando questo voleva dire sacrificare i suoi o trovare forti opposizioni. Noi siamo chiamati, tramite la sua forza, a seguirne l’esempio anche in questo: Infatti a questo siete stati chiamati, poiché anche Cristo ha sofferto per voi, lasciandovi un esempio perché seguiate le sue orme (1 Pietro 2:21).

Come diceva Robert Chapman: «Il mio impegno è quello di amare gli altri, non quello di cercare di essere amato». Un bell’impegno, da vero cristiano che ama.


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