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Non ti tocco, ma parlami

Un importante articolo, apparso recentemente sull’Economist, ci ricorda che una delle più grandi rinunce che questa pandemia ci ha imposto è quella della mancanza del contatto fisico: abbracci, carezze, baci, ma anche una semplice stretta di mano. Siamo all’improvviso diventati tutti una folla immensa di intoccabili, come lo sono da sempre quelli più emarginati, gli esclusi. E questo ha delle gravi ripercussioni sulla nostra salute. Vari studi hanno ampiamente dimostrato come la mancanza del contatto fisico provochi scompensi psicologici, rallentamento di crescita nei bambini, ritardo nella guarigione, aumento dell’aggressività. Mentre il tocco di una persona amica, di un affetto, ma spesso anche solo di un semplice conoscente, attiva le fibre nervose, rilasciando ormoni che abbassano i livelli di ansia e migliorano il benessere psichico, con effetti positivi generali sulla salute delle persone. E noi italiani, che spesso più di altri, siamo abituati a gesti di amicizia e affetto, fatti anche di contatto fisico, lo sappiamo molto bene.

Ecco allora che in questo momento la parola deve riempirsi anche di quei valori che spesso solo un semplice gesto poteva fare. Dobbiamo imparare a consolare e essere consolati tramite la parola, per aggiungere quello che ora solo lo sguardo, per chi ha la possibilità di stare ancora vicino, può in parte trasmettere.

«Consolate, consolate il mio popolo», dice il vostro Dio. «Parlate al cuore di Gerusalemme… (Isaia 40:1-2a): Dio sapeva perfettamente quanto bisogno di consolazione avesse il popolo d’Israele, dopo un lungo periodo difficile. E ci dovevano essere parole consolatorie che parlassero al cuore delle persone. Ma spesso per trovare parole che consolino, abbiamo bisogno di aver sperimentato quella stessa consolazione, quelle stesse parole che tanto bene ci hanno fatto. Diventa altrimenti difficile trovare le parole giuste. L’apostolo Paolo parla di questa esperienza, che diventa strumento per aiutare gli altri: Benedetto sia il Dio e Padre del nostro Signore Gesù Cristo, il Padre misericordioso e Dio di ogni consolazione, il quale ci consola in ogni nostra afflizione affinché, mediante la consolazione con la quale siamo noi stessi da Dio consolati, possiamo consolare quelli che si trovano in qualunque afflizione (2 Corinzi 1:3-4).

Abbiamo tutti bisogno di ascoltare quelle parole, per poi trasmetterle a altri, affinché il suo benefico effetto si moltiplichi. Il profeta Isaia, anticipando quello che Gesù, il Servo del Signore, avrebbe poi fatto per tutto il tempo della sua vita terrena, ci ricorda come alla base di ogni parola buona, di ogni parola che procuri giovamento, c’è stato prima un ascolto attento a quelle stesse parole: Il Signore, DIO, mi ha dato una lingua pronta, perché io sappia aiutare con la parola chi è stanco. Egli risveglia, ogni mattina, risveglia il mio orecchio, perché io ascolti come ascoltano i discepoli. (Isaia 50:4).

Se siamo afflitti, se ci manca l’abbraccio e la carezza delle persone, se i nostri sguardi sono troppo lontani e, spesso, filtrati da uno schermo… se sentiamo l’estremo bisogno di parole che ci consolano, facciamo nostra la preghiera del salmista: Io sono molto afflitto; SIGNORE, rinnova la mia vita secondo la tua parola (Salmo 119:107). È quella parola, la parola di Dio, che può infonderci tutto quell’amore che ci è indispensabile per vivere: Questo mi è di conforto nell’afflizione: che la tua parola mi fa vivere (Salmo 119:50). Solo allora, quella stessa parola, diventerà strumento potente di conforto, di consolazione, di aiuto anche per gli altri. Tanti sono i momenti di afflizione che scuotono le nostre vite, ma la Parola di Dio sarà sempre quella sorgente d’acqua pura e fresca, che saprà avvolgerci come il più forte degli abbracci, come la più tenera delle carezze.


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