Qual è la differenza tra sentirsi bene e stare bene? La prima è la percezione che abbiamo del nostro benessere, la seconda è la realtà. E non sempre le due cose coincidono.
John Piper nel suo bel libro Coronavirus e Cristo (scaricabile gratuitamente qui) ci racconta una sua esperienza personale: «Non dire “sto bene”, ma piuttosto “mi sento bene”. Mettiamola così: spesso prima della mia diagnosi, molte persone mi chiedevano come stessi. Io di solito rispondevo “Sto bene”. Ora non do più una simile risposta, ma preferisco dire “Mi sento bene”. C’è una profonda differenza: il giorno prima di quell’esame annuale alla prostata, mi sentivo bene, ma il giorno dopo ricevetti la notizia del cancro. In altre parole, non stavo bene. Dunque, anche adesso che sto scrivendo, non so se sto bene, ma mi sento bene, in effetti molto meglio di quanto io non meriti. Per quanto ne so, potrei avere il cancro in questo istante o forse un embolo o persino il coronavirus».
A volte solo un esame, un test diagnostico, può determinare il nostro reale stato di salute. Sarà solo un tampone a dirci se abbiamo o meno il virus, al di là che abbiamo o meno i sintomi di quella malattia. Solo un esame, uno strumento, una valutazione di un esperto, ci dirà se siamo positivi o negativi.
Se questo è vero dal punto di vista fisico, lo è anche da quello spirituale. Il fatto che noi ci sentiamo bene, non vuole necessariamente dire stiamo bene. Spesso infatti la nostro apparente sensazione si basa su fattori non oggettivi, ma puramente soggettivi.
Abbiamo quindi bisogno di un esame e di una diagnosi, fatta da chi può darci una risposta esatta, basata su parametri precisi (invitiamo a questo proposito a leggere, o rileggere, i post Valori certi, strumenti sicuri e Gli esami non finiscono mai - prima parte e, ovviamente e in primo luogo, i vari riferimenti biblici lì presenti). Anche un auto-esame dovrebbe sempre essere fatto guardando non ai nostri metri di giudizio personali ma a quelli di Dio, affinché non ci auto-inganniamo (e qui può essere utile riflettere ancora su quanto scritto nel post Autocertificazione onesta).
Ma oggi vorremmo porre le domande “come ti senti?” e “come stai?”, con un obiettivo opposto. Paradossalmente infatti (ma neanche tanto in realtà) potremmo anche stare bene spiritualmente, ma non sentirci così. Cioè, potremmo non percepire la nostra realtà spirituale, quella di persone che hanno dato la loro vita a Gesù, che hanno creduto in lui, come qualcosa che ci fa sentire bene. Potremmo, in un periodo di grande stress emotivo, lasciare che la nostra visione soggettiva delle cose prenda il sopravvento su quella oggettiva. Siamo fedeli a Dio, viviamo la comunione con Lui e con i suoi figli, leggiamo la sua Parola e preghiamo. Stiamo bene, ma non ci sentiamo così. Dubbi, paure, ansie, incertezze sembrano avere il sopravvento sulla realtà, sulle promesse sicure di Dio. Siamo come quel pilota che, pur avendo un aereo pienamente efficiente, strumenti di bordo tarati perfettamente, lunga esperienza di volo, dovendo atterrare nella giungla o in condizioni di maltempo, si concentrano di più sulla fitta foresta attorno o sulle nuvole minacciose, invece che sulla pista sotto di lui. È come se non riuscissimo più a vedere che c’è una pista d’atterraggio.
Nella Bibbia c’è un temine piuttosto raro (aphoraō), che troviamo solo due volte nel Nuovo Testamento e una sola volta nella versione greca dell’Antico Testamento. Raro, ma estremamente importante e fondamentale per tutti, ma in modo particolare per chi si trova nella situazione descritta sopra. Significa ‘togliere lo sguardo da altro per osservare con attenzione e senza distrazione; fissare lo sguardo con fiducia su qualcuno o qualcosa, avendo come obiettivo l’attesa dello sviluppo finale; acquisire informazioni, concentrandosi particolarmente sulla fonte di tale informazione’.
Nel prossimo post approfondiremo questo discorso e cercheremo di capire come questa parola, se fatta nostra e messa in pratica, possa aiutarci a tornare, non solo a essere sicuri di stare bene, ma anche a sentirci bene.
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