Abbiamo ancora tutti negli occhi la distruzione provocata dalla terribile esplosione avvenuta a Beirut qualche giorno fa, causata a quanto pare dall’esplosione di un magazzino dove erano stoccate in uno degli hangar del porto ben 2750 tonnellate di nitrato d’ammonio. Il materiale, altamente pericoloso, si trovava in quel deposito da vari anni, ma solo ora, per cause ancora da accertare, è esploso.
Non è certo la prima volta che del materiale a rischio (di esplosione o di inquinamento ambientale) rimane immagazzinato per lungo tempo senza provocare danni visibili, ma poi, all’improvviso, basta una scintilla o una piccola screpolatura, ed ecco che esplode o fuoriesce tutto, con danni a volte enormi e irreparabili.
Questo può succedere anche al magazzino del nostro cuore e della nostra mente. Per anni accumuliamo pensieri negativi, rancori, desideri di vendetta, cose non perdonate. Ne abbiamo parlato, in vario modo, in diversi post, anche recentemente (Pensieri, parole e la vera contaminazione; "Ci ricorderemo di voi"; Il problema dell’odio; Settanta volte sette. Il perdono come liberazione).
Se non ci liberiamo in tempo di tutto quello di negativo che avvelena il nostro essere, rischiamo che un giorno arrivi un fattore scatenante che faccia saltare in aria noi e coloro che ci circondano.
Dio chiama questo accumulo nero nell’animo umano amarezza. Nel suo significato originale ha a che fare con qualcosa di appuntito, affilato, penetrante (come una freccia o una spina), quindi viene usato poi per qualcosa dall’odore o sapore penetrante e pungente, cioè amaro o anche velenoso. Infine, se ne fa un ampio uso figurato per indicare l’amarezza di certi sentimenti sgradevoli, sia provati che provocati (delusione, risentimento, rabbia, ribellione, odio). Si contrappone a ciò che è dolce, piacevole, gentile, conciliante.
Guardando all’uso che se ne fa nel Nuovo Testamento, vediamo che l’amarezza è qualcosa che nasce di nascosto e non si vede subito, perché è una radice: vigilando bene che nessuno resti privo della grazia di Dio, che nessuna radice velenosa (lett. ‘amara’, ‘ di amarezza’) venga fuori a darvi molestia e molti di voi ne siano contagiati (Ebrei 12:15), e perché sta nel cuore: …il tuo cuore non è retto davanti a Dio. Ravvediti dunque di questa tua malvagità; e prega il Signore affinché, se è possibile, ti perdoni il pensiero del tuo cuore. Vedo infatti che tu sei pieno di amarezza e prigioniero d’iniquità. (Atti 8:21-23).
L’amarezza nasce quindi nel cuore, è una radice che, come tale, non è immediatamente visibile, ma che cresce piano piano per poi arrivare a germogliare e manifestarsi per quello che è. Essendo una radice, un pensiero o un atteggiamento del cuore può rimanere nascosto anche per molto tempo. Un seme viene gettato e, se trova un terreno pronto ad accoglierlo, si radica e poi, piano piano si ramifica, germoglia, cresce e porta frutto. Un seme che può essere appunto fatto di risentimento, di rabbia, di frustrazione, di odio, di ribellione. Più tempo si lascia questa radice agire, più si ramificherà, più difficile sarà sradicarla e più frutti negativi porterà.
Alcuni di questi frutti sono l’avvelenamento, la molestia, il contagio, come già visto in Ebrei 12:15: che nessuna radice velenosa venga fuori a darvi molestia e molti di voi ne siano contagiati.
L’azione forse più pericolosa è quella del contagio. Tutti sappiamo bene, oggi più che mai, che quando c’è una grave malattia infettiva, la cosa più importante è evitare il contagio. Ogni contatto, se non siamo preventivamente protetti o vaccinati, può essere pericoloso, talvolta letale. O, come nel caso del disastro di Beirut, dove il deposito non è semplicemente imploso, distruggendo solo sé stesso, ma è esploso, contagiando con la sua onda d’urto migliaia di persone e cose, portando morte e distruzione.
Sia chi avvelena, molesta e contagia, sia chi ha subito tutto questo, cioè lungamente esposto a questa azione di amarezza, si può trovare in una condizione che pervade totalmente la sua anima e che lo rende prigioniero di questa stessa amarezza. Non si riesce a perdonare, a dimenticare, ma nemmeno a liberarsi del pensiero fisso e del dolore che tutta questa amarezza ha provocato. In alcuni (principalmente nei provocatori) si manifesta in uno stato continuo di rabbia, di rancore, di desiderio di rivalsa ad ogni costo. In altri (principalmente nei provocati) un senso di frustrazione, di delusione, dolore, di perdita della gioia, dell’incapacità di reagire e uscire da quella situazione.
In ogni caso c’è un velo nero che impedisce di apprezzare le cose buone, di vedere la vita cristiana nel modo giusto, pieno e gioioso, nonostante le difficoltà, con cui andrebbe vissuta. Ci può fare ammalare, anche seriamente e allontanare da Dio.
Ecco perché la Parola di Dio ci invita a non accumulare questi pensieri negativi verso l’altro, ma a liberarcene il più in fretta possibile: Adiratevi e non peccate; il sole non tramonti sopra la vostra ira (Efesini 4:26). Nessuno di noi è immune da un’arrabbiatura, da un’indignazione, perché troppo spesso ci accadono cose che non ci piacciono, che ci disturbano. Ma c’è modo e modo di reagire e, soprattutto, c’è un modo sbagliato di gestire questi sentimenti. Dio vuole che evitiamo accumuli pericolosi, stoccaggi sempre più vasti di negatività. E ci chiede invece di liberarcene, subito, meglio ancora entro la fine dello stesso giorno, dando a lui i nostri pesi. Il non farlo vorrebbe dire, come il versetto immediatamente successivo ci ricorda, “fare posto al diavolo” (Efesini 4:27).
Nessun accumulo quindi, svuotiamo i depositi dell’amarezza prima che esplodano e ritroviamo la pace che Dio ci vuole donare!
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